Taghazout
Un piccolissimo bagaglio a mano preparato velocemente, un paio di ore di sonno, un volo di qualche ora neanche percepito perché ci siamo addormentati ancora prima che l’aereo decollasse, e in un batter d’occhio catapultati in un’altra realtà: questa cosa mi fa sempre effetto.
Atterrati in Marocco!
Subito, scendendo dall’aereo, un mezzo sorriso compare sulla mia faccia constatando che il giubbotto che indossavo era troppo pesante per la temperatura esterna, si parte con il piede giusto.
Sbrighiamo le classiche procedure aeroportuali rispolverando un po’ di francese ormai sepolto in qualche angolo del cervello, cambiamo dei soldi cercando di non farci fregare troppo con il cambio, usciamo dall’aeroporto, ci avviciniamo a un taxista e via con l’arte della contrattazione: purtroppo è una disciplina a me poco congeniale, ma Giuseppe e Simona sembravano praticarla discretamente. Detto ciò, ha vinto comunque lui perché i prezzi delle corse erano scritti in bella vista su di un cartellone. Ci dirigiamo verso Taghazout (a circa 50 minuti da Agadir). Siamo stati informati dell’esistenza di questo luogo tramite la nostra amica in viaggio con noi. Si tratta di un piccolo villaggio di pescatori sull’oceano non ancora troppo turistico.
Abbiamo alloggiato in una Surf House molto semplice e carina, con una terrazza che ci ha regalato per tutta la durata del soggiorno una vista pazzesca sull’oceano e tramonti da sogno.
Qui, le attività più diffuse, sono il surf e, stranamente, lo yoga. Ovviamente mi sono subito prenotata per le lezioni di yoga che si tenevano tutte le mattine all’alba sulla spiaggia, che se le paragono a quelle che faccio io a casa con vista armadio mi metto a piangere!
Non ci siamo fatti mancare neanche il surf: tavola e muta a noleggio per pochi dirham e via in acqua! Volevamo sentirci un po’ come in ‘Un mercoledì da leoni’, ma il titolo del nostro film poteva al massimo essere ‘Prova almeno a salire sulla tavola’ … Ci siamo comunque divertiti!
Il resto del tempo lo abbiamo trascorso un po’ a zonzo tra le viuzze di Taghazout, facendo una bella camminata lungo la costa e, cosa che ci viene benissimo al contrario del surf, assaggiando cibo locale: tajine, pesce fresco cucinato davanti ai nostri occhi ad un prezzo ridicolo, crèpe ricoperte di Amlou, una sorta di sciroppo cremoso fatto di arachidi, miele e olio di Argan e il pane, spettacolare, che i locali usano anche come forchetta. Chiaramente, abbiamo cercato di emularli, ma mentre loro lo fanno con estrema naturalezza e grazia noi sembravamo dei cavernicoli. Nessuno vende o serve alcolici, a parte un paio di localini più turistici e gli hotel; i pasti vengono accompagnati da un buonissimo tè alla menta da bere rigorosamente zuccherato, anche per chi, come me, beve tè e caffè senza zucchero.
Durante questo nostro brevissimo soggiorno, abbiamo avuto modo di conoscere e parlare con diverse persone: le simpaticissime proprietarie della surf house, persone provenienti da ogni parte del mondo, nella stragrande maggioranza lì per fare surf, qualcuno impegnato a scrivere articoli e altri in vacanza come noi. Ci siamo imbattuti in Axel, un giovane giramondo di origine francese o riso insieme ad un folle personaggio un po’ chiassoso proveniente da Liverpool e poi abbiamo conosciuto Alessandro e Irene, due ragazzi giovanissimi ed estremamente ingamba, in giro per il mondo con la loro tavola da surf, un sacco di sogni e una bellissima luce nei loro occhi.
Posso concludere ringraziandoti Taghazout, perché nonostante i pochissimi giorni, mi porto a casa moltissimi nuovi ricordi. GRAZIE!







































